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rivide l'Europa. Il Melotto altresì, sfinito dalle febbri continue, moriva dopo un anno a Kartum. Il Zili era già morto, pure a Kartum, tornatovi da Santa Croce con quella barca stessa, colla quale era venuto con noi sul Fiume Bianco. Il Lanz era pure quasi continuamente malato. Ora è facile immaginare quale dovesse essere la forza di volontà, che mi era necessario di usare per addossarmi solo la fatica gravissima dello studiare una lingua tutta nuova in mezzo a tali circostanze. E pure questa risolutezza di volere non mi venne mai meno, ed in pochi mesi ne raccolsi il frutto, avendo di già ordinati da 2000 vocaboli abbozzate alcune regole generali di grammatica, e tradotti in denka alcuni dialoghi, ch'io stesso tenni con questa tribù. Inoltre, avendo già il Melotto apparecchiato un breve compendio di religione, io oralmente lo traduceva in arabo ai giovanetti denka della Missione, sotto la dettatura dei quali lo scrissi nella propria loro lingua, colla speranza che questo compendio, di 300 e più pagine, oltre che serviva loro d'istruzione, mi sarebbe stato di notabile giovamento nel dare più tardi una maggiore estensione e precisione al dizionario ed alla mia grammatica. Frattanto il Lanz, zelantissimo Missionario, riavutosi alquanto da una pericolosa malattia, che per poco lo traeva alla tomba, desiderando copiare il mio dizionario dei 2000 vocaboli, io glielo concessi ben volentieri. Dopo di che, passati alcuni mesi, ebbi lettere da Kartum, ove motivi prepotenti mi chiamavano; e partii col Melotto e col Comboni, lasciando a Santa Croce il Lanz con un Missionario tedesco, venuto di fresco d'Europa. Giunti a Kartum, moriva tosto il Melotto; ed il Comboni volle partire per l'Europa, come fu già accennato.

In questo mezzo tempo il Missionario Kirchner, fatto Provicario Apostolico in luogo del morto Knoblecher, ordinò, di concerto con Roma, si levassero le Stazioni di Santa Croce e di Kondokoro; ed io fui destinato a recarmi in

dette Stazioni per condur via i Missionarj, intanto che il Provicario Kirchner sarebbe andato a preparare una nuova Stazione centrale alla prima cateratta di Assuàn d'Egitto. In questo lungo viaggio mia principale occupazione fu la grammatica denka, la quale, così abbozzata ed imperfetta com'era, diedi pure da copiare al Lanz, da lui pregato. Morto poi il Lanz in Kartum, poco dopo il ritorno da Kondokoro e Santa Croce, questi miei scritti, cioè a dire Dizionario e Grammatica denka, restarono in mano dei Missionarj tedeschi.

Nella mia dimora a Kartum ed Assuàn continuai sempre il lavoro della lingua denka, tanto più alacremente che vi era incoraggiato dalle amichevoli istanze degli illustri viaggiatori O. march. Antinori e M. Lejean, noti ambidue alla scienza, fino al mio ritorno in Europa che fu del 1862.

Una copia della mia grammatica e dizionario, così come erano, avea già io consegnata nel 1859 a M. Lejean, che mi avea caldamente pregato; come pure un' altra copia diedi al Prefetto di Propaganda a Roma nel 1862.

Nell' anno poi 1866 il dottissimo professore di filologia in Bressanone, G. Grisostomo Mitterrutzner, a cui la Missione era per molte ragioni obbligata, pregavami di spedirgli l'autografo della mia grammatica e dizionario denka, nè io credetti potermivi rifiutare, massimamente nella supposizione ch'egli avesse voluto giovarsene per istudj di filologia comparata.

Qualche tempo dopo io vidi una brevissima grammatica denka e dizionario, col titolo Die Dinka-Sprache in central-Africa, kurze Grammatik, Text, und Wörterbuch, Brixen 1866, in 8°, pubblicati dal Mitterrutzner. -- Esaminai questi scritti, e senza togliere al merito ed alla pazienza del nominato professore, mi potei convincere facilmente, che completando il mio primo lavoro coi manoscritti da me posseduti, oltre a quelli che avea spediti a lui, ne sa

rebbe riuscita un'opera, oso dire, più completa almeno per ciò che spetta alla grammatica.

Questi riflessi e gl' incoraggiamenti, che ebbi da molti amici, ed in ispecial modo dal march. O. Antinori, e dal veronese Francesco conte Cipolla, giovane di ottime speranze e degli studj filologici innamorato, mi fecero risolvere alla. fine di pubblicare il mio lavoro, avendo oggimai ultimata la grammatica e condotto bene innanzi il dizionario.

A questo non mi mosse il desiderio di gloria, ma solo la speranza di giovare in qualche modo la religione e la scienza, i quali due intendimenti se io potrò persuadermi d'avere raggiunto, stimerò assai bene compensate le lunghe e pazienti fatiche, che dovetti sostenere.

CAPO I.

DELLE LETTERE E DEL LORO SUONO.

SI.

Prima di cominciare lo studio della lingua dei Denka, volli assicurarmi se fra questi negri esistesse o no qualche scrittura, ed accertatomi che non esisteva, mi valsi, a preferenza di altre, della scrittura italiana anche a figurare certi suoni ed articolazioni, che non sono proprj della nostra lingua, modificando però la pronuncia di alcune consonanti e delle vocali con segni convenzionali, che, spiegati, mi parve potessero abbastanza indicare que' suoni, dei quali difetta il nostro alfabeto. Ma ora conoscendo il sistema generale di trascrizione proposto dal dottissimo Conte Francesco Miniscalchi-Erizzo (Venezia 1858, in 4o, con tav. litogr., in fogl.), e trovandolo adatto ad esprimere i suoni della lingua che io scrivo, e più semplice di quello ch' io m' era formato, godo di poterlo seguire in ciò che risguarda le consonanti. Ma quanto alle vocali feci uso di quattro

accenti, coi quali significarne l'esatto suono, poichè succede assai volte che, in una parola, pronunciata che sia la stessa vocale con suono più stretto o più largo, più o meno prolungato, si cambi il senso della parola medesima.

S II.

A vent' una io riduco le lettere dell' alfabeto; cioè: a, b, c, d, e, f, g, h, i, j, k, l, m, n, o, p, r, t, u, v; havvi poi il suono di una consonante, che io riscontrai pure nella lingua dei negri Bari e dei Sciluk, e che non seppi nè saprei meglio esprimere che coll' unione delle due consonanti ng, del cui valore dirò in seguito nel Dizionario è registrata l'unione di queste due consonanti dopo la lettera n.

I Denka non hanno le due lettere se z, e potremmo dire anche la lettera f se non esistessero le tre parole fat buccia; fèk bastare; fók-ig arrovesciare; ed il modo avverbiale a-giòn-fuòl, abbastanza, che cominciano con questa consonante; nelle quali parole tuttavia la f non si sente ben distinta, ma un po'confusa colla lettera p. Nelle parole poi, a-piat, od, a-puat bello, buono ; ke-piat, o, ke-p,uat bene; ed in altre poche, la lettera p è un po' confusa coll' f, ma più si sente il suono della p che dell'f, mentre nei primi esempj avrei dovuto dire il contrario.

VARJ SUONI DELLE VOCALI, A, E, I, O, U.

S III.

Le vocali sono soggette a suoni diversi, che importa assai di bene determinare, poichè è solamente il suono di una vocale che tante volte ci fa distinguere il singolare dal plurale dei nomi, il presente dal passato e futuro dei verbi, e spesso cambia, come dissi, il senso delle parole. E siccome non abbiamo in questa lingua una regola fissa, che ci apprenda come e quando debbasi alterare il suono

delle vocali, cosi io posi tutta la diligenza, in questa mia grammatica e dizionario, nel sovraporre alle vocali i debiti accenti, onde significarne l'esatto suono.

Quattro sono gli accenti, ch'io adottai ad esprimere quattro suoni diversi delle vocali.

b)

a) Accento acuto, che indica suono stretto e breve. Accento grave, che indica suono largo e breve. c) Accento circonflesso, la cui apertura guardi la vocale, che indica suono lungo e largo.

A

d) Accento circonflesso, la cui apertura sia opposta alla vocale medesima, che indica suono lungo e stretto.

Allorchè le vocali non sono accentate, si dovranno pronunciare sempre brevi e come nella parola italiana evacuativo, che tutte le comprende.

Ove cade l'accento dovrà pur cadere la posa della voce; che se talvolta dovetti accentare più d'una vocale, nella stessa parola, per determinarne i suoni, dissi però sempre fra parentesi, su quale vocale deve cadere la posa della voce: p. e. uén-è questo fanciullo; gon-têr da molto tempo (la voce posa sull'ultima vocale).

Da quanto dissi risulta che la vocale i non può avere che quattro suoni, mentre l'accento acuto non può dare ad essa un suono più sottile di quello che ha.

Cosi pure l'u non ha che quattro suoni, dei quali il più stretto essendo quello dell' u nostro italiano, l'accento acuto. non varrà mai ad alterarlo; sicchè, per queste due vocali, questo accento torna inutile, fuori del caso, in cui si porrà ad indicare che su di esse dee cadere la posa della voce.

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