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PER NOZZE

Inclita

nclita Verginella,

ODE

A cui nei lumi, e nel leggiadro volto

Par che lampeggi accolto

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Tutto il fulgor dell' acidalia stella,

Cui delle grazie il coro

Festeggiando accompagna, e in cui si scerne

Già balenar delle virtudi interne

L'amabile tesoro,

Che largo il Ciel ti diè;

Mira che l'alba sorge

Col roseo piè dal lucido oriente;

E già dolce ridente

D'amoroso Garzon la man Ti porge:

Mira con qual sincero

Candido lume all'alto ciel s'avanza,
E con qual soavissima sembianza
Apre vago il sentiero

Dell' alma luce al Re.

L'ombre degli Avi tuoi,

Che illustri già sulla Toscana terra
Colsero in pace, o in guerra

Gli allori avvezzi a coronar gli 'eroi,

Questa felice aurora

Accompagnan co' plausi, e fanno voti
Perchè trapassi agli ultimi nipoti
Questa virtude ancora,

Che grandi un dì gli fe.

E se la prole serba

L'avito genio, e la virtù gentile;

Se la colomba umile

Nascer non può dall'aquila superba;
Certo, illustre Donzella,

Vedrà rinnovellarsi il Tosco Fiume
Ne'tuoi figli l'antico aureo costume,
Per cui tanto la bella
Flora un tempo splendè.
Oh fortunata! oh quale

Su le vie dell'onor gioia t'aspetta!
Quando la pargoletta

Prole per Te spirando aura vitale
L'amante Genitrice

Ad additar comincerà col riso,

E conoscer faratti il dolce viso
Del Genitor felice

Effigiato in se.

Allor quanto più cara

Del fortunato Imen fia la catena!

La mente tua serena

Quanti piacer consoleranno a gara! E l'agitata face

D'amor darà nuove faville ardenti,

E l'ore tranquillissime innocenti
Ne apporterà la pace,

Premio della tua fe.
Ma se stella nemica

Ver Te volgendo invidioso il raggio
Al tuo mortal viaggio

Toglier giammai vorrà la calma antica,
Tu con la grata voce

Unita a dotte armoniose note

Le tempeste più ree terrai remote,
E l'ira sua feroce

Si placherà per Te.

Ben sai che il dolce canto

Talor fu servo ai coniugali amori,
Ed ai dolenti cuori

Ricondusse la calma, e terse il pianto.
Ben sai che il Tracio Orfeo,

Benchè da colpo di spietata sorte

Posta fosse Euridice in grembo a morte,
Pur dal margo Leteo

Ritrarla un dì potè.

Ei la perduta sposa

Pianse per selve abbandonate e sole,

E quando sorge il sole,

E quando stanco in grembo al mar si posa`.

Poi da soverchia pena

Spinto cercolla in su l'Elisio lito,

E ardì calcar del torbido Cocito

La terribile arena

Con l'animoso piè.

Al suon de' cari accenti,

Onde ei scuotea le pigre ombre Letee,
L'anime al mondo ree

Obliaron sospese i lor tormenti:
Tacque lo stigio pianto

Ove l'aure colpi la Tracia lira,
E la Tartarea inesorabil ira
Pure ammollissi alquanto,
E alla pietà cedè.

E già tornava al mondo

Con Euridice, che il seguia dappresso;
Ma non gli fu concesso

Volgersi a lei per quel sentier profondo
E già 'l nebbioso e folto

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Orror mesceasi a qualche raggio lieto, Quando obliato il barbaro divieto, Lasso! all'amato volto,

Si volse, e lo perdè:

Allora il fato spinse

Lungi da lui la misera consorte,

Cui della ferrea morte

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Un nuovo laccio indissolubil cinse.

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Ei raggirossi intorno

Piangendo, oimè! l'irreparabil danno..

Ma taci, o Musa; un si crudele affanno In così fausto giorno

Da rammentar non è.

9

IL

CIABATTINO DI LEIDA (a)

Eravi in Leida un Ciabattino

Che non sapeva Greco o Latino,
Pur come l'altre dotte persone
Andava ov' era la Conclusione,
Ed impancavasi nei gradi primi
Come un Filosofo dei più sublimi.
Quivi a vederlo batter le mani,
Crollar la testa con modi strani
Parea decidere qual Salomone
Chi avesse il torto chi la ragione.
Un giorno un Savio tra l'altra gente
Interrogollo curiosamente.

Dite, intendete bene il Latino?
Io no, rispose, son Ciabattino.
Chi dunque dicevi chi dia nel segno?
Ho un infallibile mio contrassegno.
Io nelle dispute mi sono accorto,
Che chi più grida quegli ha più torto.

(a) Sopra questo vi è un epigramma del celebrc

Leibnizio.

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