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SONETTO

II.

Assai, Donna gentil, la patria riva,

Dal di che al mondo apristi i vaghi rai, La bell'alma ammirò, che in Te deriva Dal Cielo, e già l'ha venerata assai.

Onde di Tue virtù la luce viva

Si mostri, e splenda ad altre genti omai.
Beasti un tempo la magion nativa,
Or fortunata altra magion farai.

Già su le belle Cortonesi arene,
Dolce ponendo all'arco aurea saetta,
Amor ti chiama in compagnia d'Imene.

E se la norma di virtù perfetta

Fosti da Figlia, or con sicura spene L'esempio in Te d'eccelsa Madre aspetta.

PER NOZZE

Que

SONETTO I.

Parla il Padre della Sposa allo Spose

uesta che vince, tenera Donzella,

La rosa in ostro, e in candidezza il giglio,
Parte cara di me benchè più bella
Avanti all' ara io ti consegno, o Figlio.

Questa a te Sposa, e a' tuoi voleri ancella Lega ministro Amor d'alto consiglio, Amor che mai non cangia arco o facella, Nè ha volubili piume, o benda al ciglio.

Or di Figli uno stuol pronto e vivace,
Amabil frutto di pudico ardore,
Renda più saldo il nodo e più tenace.

E fin degli anni vostri all' ultim' ore
Intorno al vostro cuor vegli la Pace
La dolce fiamma a conservar d'Amore.

SONETTO II.

Risponde lo Sposo

Qu

uesta felice amabile Donzella,

Il cui volto è una rosa, il core un giglio, Perchè parte di te perciò più bella

Mi dai, Signore, e in me ricevi un figlio.

A me fida compagna, e non ancella
Sosterrammi or coll' opra or col consiglio,
E come accende Amor casta facella
Udrò dal labro, o leggerò nel ciglio.

E se donarci età lunga e vivace

Il ciel vorrà, non mancherà l'ardore,
Nè fia il nodo men saldo, e men tenace.

Anzi forse vedrò nell' ultim' ore

Di vita, in mezzo ai cari figli in pace
Venir la Morte, e non partirsi Amore.

Alludesi alla serena giornata del dì 11 Gennajo 1800 dopo una ostinatissima pioggia e nebbia, nel qual giorno l' Illustrissimo Signor Marchese Cav. GIUSEPPE PUCCI compiva la sua minore età.

SONETTO

Orrida e densa nebbia erasi accolta
Su le campagne della bella Flora:
E pioggia rea da iminense nubi sciolta
Versava il Ciel da l' una all' altra aurora.

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L'alma face del Sol morta e sepolta

Anco sul mezzo di parea talora;
Nè in si nera caligine e si folta
Speme d'un raggio sol vedeasi ancora.

Quando dell' Indo mar sorger dal seno

Si vide il Sol, che di bei raggi adorno
Scotea ridente ai corridori il freno:

E alle sfere dicea: questo è il ritorno
Del natal di GIUSEPPE: onde sereno
Festeggio anch'io sì fortunato giorno.

CANZONETTA

Fra tanti torbidi

Affanni miei

Ahi come vivere
Mio Dio potrei,
Se non col pascere
Mia speme in Te?
Che quando ha l'anima
Si bella spene
Dolci si rendono

L'istesse pene,

E il duol più barbaro
Più duol non è.
In mezzo all'impeto
D'aspra tempesta
La speme è l'Ancora
Che immoto arresta
Il legno fragile
De' miei pensier.

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