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gli autori, e con essi tutti i dotti, dopo il Mabillon encomiano il codice corbeiense, dell'abazia di S. Germano dei Prati a Parigi (1). Non mi fermo ad esaminare il valore di ciascuno di questi codici, nè ad indicare le varianti che li distinguono. Solamente osservo, che in alcuni di essi la storia della passione dei santi Giovanni e Paolo è preceduta da una lunga leggenda, il cui soggetto principale è un Gallicano, martire della fede. Negli altri manoscritti, e nel migliore e più antico di tutti che è il corbeiense, dei fatti raccontati in quella leggenda non se ne fa alcuna parola. Ora noi dobbiamo studiare questa diversità per rendercene ragione.

Ed in primo luogo si avverta che l'anzidetta aggiunta è di tutt'altro stile. Gli atti nostri son semplici nella forma, concisi, scevri di affettazione, e ad ogni frase ci rivelano il gusto letterario del sesto secolo. Invece la leggenda di S. Gallicano è forbita, ampollosa, piena di ricercatezze, sì nelle parole che nelle frasi, e mostrasi a prima vista per opera di uno scrittore venuto dopo, quando cioè era in piena voga l'uso dei romanzi sacri. Di più quell'aggiunta ribocca di anacronismi e di circostanze tanto inverisimili, che da sè medesima si dichiara compilata da un autore non meno sprovveduto di soda scienza che di fino accorgimento: Auctor haud dubie nugacissimus, come lo dice il Mazzocchi (2). Non voglio dire con questo, essere quel racconto del tutto falso, o inventato di

(1) RUINART, Acta sincera, de Mart. qui sub Iuliani persecut. passi sunt. BOLLAND, loc. cit. MAZZOCCHI, loc. cit., pag. 730.—

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MABILLON, ap. auct. cit.

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(2) Ibidem, pag. 732.

sana pianta da chi lo scrisse; conciossiachè nel Sacramentario attribuito a S. Gregorio Magno si trovano diversi passi che sembrano presi a verbo a verbo da quella storia (1). Ma lo scrittore di essa non seppe usare di ciò che di buono trovò nei codici e nella tradizione; quindi mise là alla rinfusa e lo storico ed il favoloso, e fece così un zibaldone, che torna impossibile di discernervi la verità.

Che che ne sia di questo infarcimento, a noi basta il poter dire che gli atti di S. Gallicano non hanno che far nulla con quelli dei santi Giovanni e Paolo; e se ne ho parlato, è stato solo per aprirmi la via a dimostrare il perchè e il per come in alcuni manoscritti anche non tanto recenti, quelli si trovino cuciti con questi. Anzitutto egli è certo che per molto tempo gli atti dei Martiri celimontani si lessero soli, senz'altra giunta di fatti e di circostanze estranee. Di che fan fede diversi antichi codici, come il corbeiense or ora citato, il napoletano, l'audomarense ed altri, i quali cominciano col racconto della passione dei nostri Santi e finiscono colla loro morte gloriosa (2). E ciò è tanto vero, dice il Mazzocchi, che prima dell'ottocento la leggenda di S. Gallicano neppur si trovava inserita nei passionarii comunemente usati nelle chiese. Ora avvenne che dopo l'ottavo secolo si cominciasse a celebrare in alcuni luoghi la festa del lodato martire, e la storia di lui venne a divulgarsi così, e fu inserita al giorno 25 giugno, cioè immediatamente avanti il natale dei santi Giovanni e Paolo. Coll'andare del tempo si presero a riguardare le due

(1) Cf. ap. MURATORI, Liturg. rom. vet., t. II.
(2) Acta SS., loc. cit., n. A.

istorie quasi come un sol racconto; ossia si tenne la seconda come una continuazione della prima, a cagione di diversi fatti che son propri di amendue. Con tutto ciò, in principio ciascheduna di esse aveva il suo titolo particolare: Passio S. Gallicani Passio SS. Ioannis et Pauli. In seguito però vi fu chi questi titoli volle confondere insieme, e trascrisse le due narrazioni, apponendovi un sol titolo: Passio S. Gallicani et SS. Ioannis et Pauli, ovvero: Passio SS. Ioannis et Pauli, senz'altro (1). A meglio riuscir nell'intento, egli cambiò le prime frasi degli atti dei santi Giovanni e Paolo, sostituendone altre che gli potessero meglio servire di legamento (2). Da questo manoscritto per tal modo imbrogliato, l'errore passò in altri, e si propagò fino al tempo del Papebrochio, il quale pel primo lo avvertì e lo corresse, separando i due racconti (3). A ciò fare egli fu indotto dall'autorità degli altri codici, che non erano stati alterati e manomessi. E questa autorità, aggiunta alle cose da noi discorse fin qui, ci pare sì grande da non lasciare menomamente più dubitare, fin dove giungano i veri limiti dei nostri atti. Posti così tali limiti, noi possiamo far piena sicurtà a questo documento del sesto secolo. Le difficoltà ad esso opposte dal Tillemont spettano quasi tutte alla leggenda di S. Gallicano, che nella lezione Suriana, dove il ch. censore studiò la materia, si trova cucita cogli atti dei santi Gio

(1) MAZZOCCHI, loc. cit., pag. 730.

(2) Qui quidem, plumbaturae causa, mutato leviter antiquiore passionis Ioannis et Pauli initio.... Gallicani acta cum sequentibus ferruminavit congruo linimento. Ibidem, pag. 731.

(3) Acta SS., loc. cit.

vanni e Paolo. Quel che segue al meno antico testo, egli medesimo lo dà per sicuro. E ciò a noi basta; imperocchè questa seconda parte soltanto del codice noi rivendichiamo per nostra; e ci basta ed avanza la sicurezza che i pochi errori che in essa si scorgono, sono di lieve momento, e si possono con tutta facilità conoscere e correggere senza punto menomare il pregio del testo. Due o tre nei, trovati in un antico manoscritto, son cosa da non doverné fare conto alcuno. Non sappiamo per tutto questo, dove si fondi un odierno chão critico francese, che non nomino, per avere in poca stima i nostri atti. Allorchè lo si domanda a lui stesso, risponde colle solite obbiezioni tolte dalla leggenda di S. Gallicano, e quando lo si stringe a produrne dai veri atti dei santi Giovanni e Paolo, non sa quasi che dire, e pure si tien fermo nell'opposizione. In verità questo non è ragionare, ma perfidiare. Vi fu già un tempo in cui si tollerò un siffatto modo di procedere, giudicando e sentenziando a priori, con tanto danno della verità (1); ma oggi le cose han cambiato aspetto. Più giusti e sani consigli hanno preso il luogo dell'ipercriticismo di oltremonte, e l'esperienza ha fatto vedere quanto ben a ragione. Di mano in mano che l'archeologia va innanzi nel suo cammino e si estende colle sue ricerche e colle sue fortunate scoperte, si vede con più chiaro lume quanto irragionevolmente fossero rigettate come apocrife tante preziose scritture e tante venerande tradizioni. Gli atti più dispregiati dei martiri si tro

(1) DE ROSSI, loc. cit. e altrove passim. LE BLANT, Opp. cit. · D. GUÉRANGER, op. cit.

vano per tal via autenticati da monumenti irrefragabili, i quali mostrano con evidenza, non essere poi stati i nostri maggiori sì sciocchi e tanto creduli quanto si è voluto far credere. Si discerna pure il vero dal falso, che è cosa lodevolissima; ma non si rigetti, a cagione del falso, quel che è vero. Alla sana critica, per ammettere un fatto come certo, può e dee bastare che, trovandosi riferito in antichi codici, non ripugni in sè medesimo e non contradica ad altri fatti tenuti per veri. Fondati su questo principio, noi possiamo legittimamente tenere per autentiche tutte le parti degli atti dei santi Giovanni e Paolo, finchè non si dimostri con buoni argomenti il contrario.

Ma per nostra somma fortuna, gli scavi del Celio, e la scoperta della casa dei nominati santi Martiri ci porgono una dimostrazione tutt'altro che sfavorevole: poichè ivi ogni cosa corrisponde nei monumenti alla descrizione che se ne fa nel manoscritto. Fatto veramente straordinario: colla guida degli atti si è potuto andare cercando a priori ed a ragion veduta dove fosse la casa, sopra la quale quel documento storico dice essere stata innalzata la basilica; dove posta la cella, in cui di nottetempo furono presi i Confessori di Cristo dai soldati di Terenziano ed uccisi, e dove la fossa in cui si gettarono studiosamente i loro sacri corpi dai carnefici, per occultarli; dove la confessione eretta sul luogo da Bizanzio e da Pammachio, e dove finalmente il sepolcro e le tracce dei tre martiri contemporanei, Crispo, Crispiniano e Benedetta. E con tale scorta siamo riusciti a trovare ad una ad una tutte queste preziose memorie, che si tenevano per incerte e mal fondate. Sicchè le scoperte del

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