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scoperta su questo muro, raschiando le tinte meno antiche. E dipinte furon pure le tre stanze AA, BB, CC di cui ho parlato a lungo a pagina 78. I lavori però che intorno ad esse si fecero nel V secolo per costruire in quel punto l'abside della basilica, furono cagione che le belle pitture si perdessero coll'intonaco dei muri. In due parti soltanto ne rimasero ille se alcune larghe falde. Nella stanza di mezzo sono grandi specchi di buon lavoro e di tinte diverse, fra cui domina il rosso. Più in su cominciano a vedersi dei quadri con figurine nel mezzo, e quindi più nulla! Nella stanza adiacente, vi è il solito marmoreggiato, distinto in rettangoli per mezzo di linee rosse, ad imitare l'opera quadrata dell' architettura.

Altra nobile sala della casa del Celio fu quella pure che coll' andar del tempo venne mutata, come già dissi, in cella vinaria (1). Essa ha dipinta tutta la volta; ma i colori vi sono guasti e sbiaditi per modo, che solo inumidendoli con acqua lasciano appena vedere il bel disegno che vi formavano. Erano delicate linee a tinta vivace, che dividevano quel campo in spazi di diversa grandezza e forma, dal cui fondo bianco si staccavano ornati e fiori. Un'altra stanza del vestibolo, che guarda il clivo di Scauro e che in altro luogo descriverò, venne nel medio-evo trasformata in oratorio, e adornata di affreschi di quell'età. In tale trasformazione si ebbe un po' di riguardo alla parte vecchia dipinta, e dove questa non dava impaccio fu lasciata stare al suo posto, nè venne deturpata. In quel poco che se ne vede, ammirasi il

(1) Cap. IV, pag. 70.

bel rosso lucente che poc' anzi ho fatto vedere nel zoccolo delle scale. Anche il cryptoporticus ha un zoccolo simile che gli gira tutto intorno, alto dal suolo un metro e più. Però, da quel lato che corrisponde alle sopra dette scale, non conserva tracce di altre pitture.

La miglior parte però delle pitture decorative della nobil casa celimontana pare che stesse in alcune delle principali stanze del secondo piano. E lo giudico dai copiosi frammenti d'intonaco dipinto da me raccolti fra le macerie del pianterreno, i quali non hanno che far nulla nè per finezza di stucco, nè per vivacità di tinte, nè per delicatezza di disegno con quanto abbiam veduto e avremo da vedere nelle stanze del medesimo pianterreno. Di fatto lo stucco è quello stesso delle decorazioni pompeiane, cioè a polvere di marmo lucente. I fondi, per lo più gialli e celeste pallido, sono di una vivacità maravigliosa; morbide le linee dei disegni ornamentali che sopra quelli erano stati formati, e tale ogni altra cosa, che ci obbliga a pensare all' arte classica degl' inizi del III secolo. Si dica il medesimo dei marmi e del mosaico dei pavimenti. Egli è vero che il piano nobile, in cui i Romani soleano dimorare, era d'ordinario il pianterreno, e perciò in greco si usava indicarlo col nome di avvotnía, in opposizione a types, che era il nome che si dava ai piani di sopra (1). Ma ciò non toglie che anche questi ultimi non fossero qualche volta elegantissimi appartamenti, ed ordinati a nobili usi. Così Plauto nelle sue Commedie fa menar vanto

(1) DE MARCHI, op. cit., pag. 27.

al dio Giove, di avere il regale suo seggio in superiori caenaculo (1). Cenacolo presso gli antichi era lo stesso che stanza sopra il pianterreno (2). Ma dei bei cenacoli della casa dei santi Giovanni e Paolo, come non rimasero in piedi se non pochi ruderi, così delle loro ricche pitture appena abbiamo potuto raccorre dispersi frammenti.

CAPO SESTO.

Insigni dipinti cristiani

nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo.

Vi fu già un tempo in cui tanto i teologi quanto gli storici, anche di gran nome, come il Petavio, il Pagi, il Giraldi ed assai altri fino al secolo passato, dubitarono dell'uso, almeno frequente, delle sacre immagini presso gli antichi cristiani: Parum a christianis usurpatas (imagines) fuisse primis quatuor saeculis (3). Gl'iconoclasti ed i protestanti per tutelare le loro dottrine anticattoliche intorno al culto delle immagini,

(1) PLAUTO, Amph., III, 1, 3.

(2) VARRONE, Ling. lat., V, 16, 12.

PETA

(3) PAGI, Crit. Hist. chron., ad ann. 55, n. III, c. IV. VIO, Theol. dogmat., de Incarnatione, 1. XV, c. XIII; e più chiaramente LILIO GIRALDI: Illud certo non praetermittam, nos (dico christianos) fuisse sine imaginibus in primitiva quae vocatur Ecclesia. (Hist. Deorum Syntag., t. I, pag. 14 dell'ediz. di Basilea, 1580); ed il FROVA di Vercelli in una lunga dissertazione sopra le immagini: Tribus primis Ecclesiae saeculis, vix ullam sacram imaginem extitisse. Cf. CALOGIERA, Raccolta di opuscoli scientifici e filologici, t. XLII, pag. 96 dell'ediz. veneziana, 1750.

andarono anche più avanti, ed assolutamente ne negarono l'uso, ovvero gli attribuirono un'origine falsa per opera principalmente degli gnostici (1).

Fortunatamente, dopo le lunghe e pazienti ricerche fatte da uomini sommi, dal Bosio al De Rossi, oggi la verità si è mostrata nella sua piena evidenza. Le sotterranee necropoli del cristianesimo sono state aperte ed esposte alla luce del sole, ed i dotti e gl'ignoranti di qualsivoglia partito, vuoi scientifico, vuoi religioso, possono vedere coi propri occhi quello, che una critica o troppo avventata o soverchiamente timida non voleva indursi ad ammettere. La serie delle immagini prettamente religiose, che ricoprono le pareti di quelle cripte venerande, è, direi quasi, innumerabile. Il compianto p. Garrucci volle provare a farne una raccolta, ed al primo saggio ne mise fuori parecchi volumi in foglio (2). Tutti i dotti le vanno studiando con grande amore, e con esse preparando uno dei più belli capitoli alla storia delle idee e della civiltà cristiana nei suoi primordi.

Tutte queste sacre figure dipinte sui muri e le volte dei cubicoli, incise sul marmo o scolpite a bassorilievo sopra i sarcofagi, dal primo secolo al quarto, appartengono esclusivamente alla chiesa così detta delle Catacombe, dove soltanto si sono fin qui ritrovate. Ve ne erano senza dubbio anche fuori di quei sacri sotterranei; imperocchè i cristiani dei primi secoli, come aveano la medesima fede che noi, così osservavano una stessa religione; anzi da loro noi ne

(1) Cf. RICHEMONT DES BASSAYNS, Sur les catacombes romaines, pag. 270.

(2) GARRUCCI, Storia dell'arte crist., ecc.

abbiamo appreso le pratiche principali. Laonde, come noi, ponevano essi pure le immagini proprie della fede cristiana e del suo simbolismo iconografico, non solo nei luoghi destinati al culto, ma e nelle loro medesime case e dove lo credevano necessario. Tutte queste care memorie però scomparvero coi monumenti sopra terra dei primi quattro secoli. Almeno finora non se n'era potuto mostrare veruno esempio: vo' dire di figure sacre, poste a decorare le stanze di un appartamento domestico. Un tal vanto era riservato alla casa dei santi Giovanni e Paolo sul Celio; la quale, come è la prima casa cristiana che siasi trovata, può ben dirsi, intatta, così è la sola che ci faccia toccare con mano la verità di cui da tanto tempo andavamo cercando le prove di fatto. Ben a ragione pertanto lo scoprimento di queste religiose figure celimontane vennero salutate dall'universale come una delle più pregevoli scoperte fatte in Roma nel corrente secolo decimonono.

Dico poi unico l'esempio, quantunque non ignori il bel dipinto venuto in luce undici anni prima, sul monte detto della Giustizia presso le terme di Diocleziano e l'odierna stazione della ferrovia. Ivi furono trovati nel 1876 alcuni avanzi di casa romana del IV secolo. Al secondo piano eravi un oratorio domestico a forma di piccola basilica, la cui abside fu veduta ornata di affreschi, che rappresentavano il Salvatore circondato dagli apostoli, ed ai loro piedi il mare popolato di pesci con scene di pescagione. Ma questo raro monumento, che per altro era una cappella domestica e non punto stanza di un appartamento, tosto scomparve, essendo stato demolito per

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